6 Febbraio 2013
“L’Italia che vogliamo”
Proposte di impegno per le forze politiche
1. Un governo globale dei beni comuni
La politica, l’economia, probabilmente anche le forze sociali, hanno pensato che fosse possibile la globalizzazione senza globalizzare anche le regole. Si è pensato che il mercato si potesse regolamentare da solo, che era solo questione di tempo, e che il ‘bene comune’ non ne avrebbe risentito. Tutto ciò è stato puntualmente smentito dalla storia.
Oggi abbiamo un problema di accesso al cibo, come dimostra il persistere dei paradossi del sistema globale che ha declassato il cibo a merce: fame per un miliardo di persone nei Paesi poveri (a cui spesso si tenta di dare la falsa promessa degli Ogm come soluzione al problema del cibo) a fronte di obesità e dello spreco di 1/3 del cibo nei Paesi ricchi; cementificazione e degrado del suolo agricolo a fronte di land grabbing (71 milioni di ettari dal 2000 ad oggi). Domani al problema dell’accessibilità al cibo si aggiungerà probabilmente anche quello della sua scarsità. E’ necessario che i decisori politici ne tengano conto mettendo ai vertici della loro agenda la strategicità del cibo e promuovendo politiche che a livello globale definiscano una regia di regole per i beni comuni come il cibo, l’acqua e il suolo.
Conseguentemente anche le nostre politiche nazionali dovrebbero avere una rinnovata attenzione al cibo e all’agricoltura come premessa, ponendosi il problema di:
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saper leggere in anticipo gli scenari globali nel rapporto fra domanda e offerta di cibo, rovesciando la gerarchia dell’agenda corrente e collocando il cibo ai vertici, prima di temi come energia e difesa;
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accelerare azioni organiche di difesa del suolo agricolo e dell’impresa agricola;
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avviare robuste iniziative tese a riconoscere il valore strategico dell’agroalimentare per invertire quel processo di impoverimento che sta trasformando l’Italia in un “deserto di marchi”, risultato della “scellerata” delocalizzazione dell’industria agroalimentare italiana.
Priorità:
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2. Più Europa in Italia e più Italia in Ue
L’Europa costituisce la cornice di riferimento naturale per il nostro Paese, la giusta dimensione per avere la forza e l’autorevolezza di costruire un contesto di regole, a salvaguardia dei beni comuni. Le politiche dei singoli stati nazionali infatti – uscite profondamente indebolite dalla globalizzazione economica e finanziaria degli ultimi decenni – costituiscono una barriera arrugginita rispetto a forze di carattere transnazionale spesso di natura oligarchica.
E’ necessario quindi lavorare alacremente alla costruzione degli Stati Uniti di Europa, dotando l’Unione di forti istituzioni politiche elette democraticamente, capaci di orientare sia il cammino di integrazione iniziato, che di ricondurre le spinte disgreganti in atto.
Dal punto di vista del sistema agroalimentare italiano dobbiamo essere in grado di portare pienamente “l’Italia in Europa”, facendo sì che la nuova Politica Agricola Comunitaria riconosca il valore strategico del “modello italiano” e le sue straordinarie peculiarità, consentendo che esso diventi patrimonio della comunità contaminando virtuosamente il pensiero comunitario. Cruciale in questo senso diviene il ruolo dei decisori italiani, che devono superare le timidezze e le subalternita’ del passato, che hanno favorito le lobby di interesse e le politiche omologative dei Paesi del Nord Europa, o peggio ancora, intervenendo con ritardo e approssimazione sui “dossier”, hanno penalizzato fortemente gli interessi del Paese, svendendo poi la “verità” sotto il ricatto, usato spesso come alibi, dell’infrazione comunitaria (zone vulnerabili nitrati, etichettatura, ecc.).
Priorità:
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3. L’Italia sussidiaria e solidale
Di fronte alla ripresa – dopo quasi un secolo – di forti squilibri nella distribuzione della ricchezza prodotta e nel contesto di un necessario contrappunto federale il valore della sussidiarietà diventa strumento cardine per gestire la semplificazione burocratica e i principi di solidarietà sono indispensabili per superare le diseguaglianze.
Al tempo stesso quando pensiamo a “una” Italia facciamo riferimento alla pletora di livelli amministrativi che ostacolano il dispiegarsi del potenziale dell’imprenditoria nazionale.
Noi come Coldiretti l’Italia l’abbiamo tenuta ripetutamente “insieme” con le nostre bandiere, l’abbiamo “accorciata” con la nostra presenza e le nostre iniziative, facendole parlare lo stesso linguaggio dal Nord al Sud.
Nelle imprese che noi rappresentiamo, generalmente di carattere familiare, l’intreccio fra sussidiarietà e solidarietà ha contribuito a mantenere la coesione territoriale, il legame fra generazioni, fra donne e uomini, andando concretamente a permeare le comunità circostanti. In tutti i momenti in cui il Paese ne ha avuto bisogno (terremoto, siccità, emergenza neve) Coldiretti è sempre stata presente. Sono aspetti che in un Paese che vede erodere il cemento che lo unisce, valgono tantissimo!
Priorità:
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4. I nostri punti di forza
Gli assets su cui il nostro Paese può e deve puntare, sono di natura materiale e immateriale: patrimonio storico ed artistico, paesaggio, biodiversità, ricchissima articolazione territoriale, originalità e creatività, gusto e passione, intuito e buonsenso.
Accanto a questi fattori, siamo stati capaci di sviluppare nel tempo un capitale sociale che rimane fortissimo; resta viva una forte capacità di relazionarci e di fare comunità, di innovare mantenendo in vita saperi antichi. Risorse che appartengono al Dna del Paese e che garantiscono quel valore aggiunto inimitabile e non delocalizzabile al “saper fare” italiano.
La nostra agricoltura ha fondato su tali risorse il suo successo. Se essa mette in luce elementi di competitività, distintività, innovazione ed eccellenza, è perché ha saputo innovarsi ancorandosi al paradigma antico e non omologabile del Paese. In una fase di cancellazione delle distintività territoriali, la nostra agricoltura ha prosperato proprio saldandosi al capitale territoriale e inglobandone il valore aggiunto.
Lo dimostrano i suoi primati:
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il nostro valore aggiunto ad ettaro (doppio di quello di Francia, Spagna e Germania), e di conseguenza l’occupazione ad ettaro più alta di ogni altro Paese occidentale;
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un export che dopo anni di costante crescita ha raggiunto nel 2012 il massimo valore storico (almeno 31 miliardi di euro), nonostante il Paese sia deficitario di prodotti agroalimentari;
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l’assoluta qualità e il deciso apprezzamento del cibo made in Italy nel mondo (ne è testimonianza il fenomeno dell’italian sounding, che vale 60 miliardi);
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l’elevato livello di sicurezza e di controllo degli alimenti che ci fa essere primi al mondo.
Priorità:
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5. Il nostro modello di sviluppo: l’Italia che fa l’Italia
Esiste a nostro giudizio una via italiana allo sviluppo aggiuntiva se non sostituiva di quella finora dominante fondata su grandi impianti, grandi capitali, distanze spesso irragionevoli fra luogo della produzione e luogo del consumo e che ha retto per quasi due secoli l’economia.
L’idea che potessimo competere a livello internazionale solo in termini di economie di scala e sull’inseguimento del minor costo di produzione sta oggi dimostrando i suoi limiti, come testimoniano i fenomeni di delocalizzazione, deindustrializzazione e perdita di posti di lavoro che stanno segnando fortemente la nostra epoca.
Inoltre la sostenibilità di questi modelli produttivi viene messa sempre più in discussione dalla ‘finitezza’ delle risorse disponibili, dal costo ambientale che essi comportano, dai costi sociali altrettanto pesanti che ne derivano.
L’Italia e il suo futuro sono legati invece alla capacità di tornare a fare l’Italia, imboccando intelligentemente la strada di un nuovo modello di sviluppo che trae nutrimento dai punti di forza a cui abbiamo già fatto riferimento.
E’ nella nostra capacità di trasferire nei nostri prodotti e nei nostri servizi il valore materiale e immateriale della distintività italiana e nel rafforzare il nostro saper “fare rete” che troveremo la forza e l’autorevolezza per riconquistare la giusta capacità competitiva, anche nella dimensione globale.
Il successo del nostro progetto della “Filiera Agricola Tutta Italiana” (FAI) è la dimostrazione che questa strada è percorribile (come dimostrano i primati economici già descritti) e virtuosa:
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virtuosa perché distintiva, in quanto legata a valori e punti di forza esclusivi del nostro paese, dei nostri territori e del Dna degli italiani;
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virtuosa perché durevole, in quanto ancorata a punti di forza che non si consumano e non sono delocalizzabili;
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virtuosa perché replicabile in tutti i settori dell’economia;
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virtuosa perché arricchisce e non consuma o impoverisce i valori da cui trae nutrimento.
Non da ultimo è un modello i cui benefici vanno ben oltre gli interessi dell’impresa e dei bisogni che essa va a soddisfare, perché genera condizioni ambientali e sociali di benessere diffuso assai rare da riprodurre.
Priorità:
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6. Le politiche per la trasparenza
Per accompagnare la crescita, abbiamo bisogno di “buona politica” e ciò significa in primo luogo il ritorno a funzioni di mediazione intelligente fra ceti e interessi distinti e contrastanti ai fini di perseguire un più ampio interesse di carattere generale, ciò che si definisce “bene comune”. Abbiamo bisogno di una politica che sappia porgere un ascolto attento e pervaso da autentica passione e cioè di una platea di decisori che sappia resettare la propria agenda ponendo ai vertici le “domande” che vengono dal Paese, senza piegarsi, come è accaduto e rischia di accadere, ad una lettura conformistica della realtà, così come essa viene “raccontata” da chi è portatore di interessi “singoli” (e spesso per nulla “forti”).
Alla politica, fortemente deficitaria, chiediamo un’operazione coraggiosa di verità, giustizia e legalità, aspetti la cui declinazione è diventata in questi anni via via più opaca.
E per la nostra agricoltura chiediamo un impegno speculare, a servizio di ciò che stiamo perseguendo con il nostro agire quotidiano:
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la verità, per garantire trasparenza ai cittadini consumatori e metterli in condizione di conoscere ciò che va sulle loro tavole (lotta all’italian sounding, norme per l’informazione ai consumatori, applicazione di quelle leggi approvate dal Parlamento ma finite in un binario morto);
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la giustizia, per contrastare le posizioni di rendita e ridistribuire il valore aggiunto a vantaggio di chi lo produce (sostegno ai nostri progetti di Campagna Amica e della Filiera Agricola Tutta Italiana tesi ad accorciare e costruire nuove relazioni di filiera);
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la legalità, per impedire i fenomeni che minacciano il valore del marchio “Italia” (continuità di impegno nella lotta alla contraffazione e sofisticazione, condivisione della nostra denuncia sulle Agromafie in stretta collaborazione con magistratura e forze dell’ordine).
Priorità:
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7. Fiducia: la molla per tornare a crescere
L’Italia è un Paese in cui le scelte economiche, politiche e sociali sono fortemente condizionate da dimensioni emozionali. Elementi come “la fiducia” tendono a ripercuotersi in maniera più che proporzionale sui comportamenti degli individui e delle famiglie. In stagioni congiunturali particolarmente difficili, “la fiducia” diventa una sorta di “molla” che se nutrita dal giusto orgoglio nazionale e messa in tensione va a costituire un fattore rigenerativo, se trascurata si traduce in un ulteriore chiave “depressiva”.
Nel nostro Paese calano i consumi e abbiamo un debito pubblico altissimo, ma abbiamo ancora tanta ricchezza finanziaria privata il cui rapporto rispetto al reddito disponibile – al di là delle ineguaglianze sicuramente inaccettabili nella sua distribuzione – è tra i più alti al mondo. Le pur necessarie politiche di rigore adottate dal governo – se svincolate da un incentivo di ripresa, da un obiettivo riconoscibile e condiviso – rischiano di deprimere opinione pubblica e consumatori. La carenza dell’elemento accomunante della “fiducia” dentro le nostre famiglie – verso il contesto sia nazionale che internazionale – rappresenta un fattore di compressione di consumi e investimenti e impedisce la condivisione sociale nei confronti di serie politiche di contenimento del debito pubblico.
Non è casuale – crediamo – che la nostra agricoltura contribuisca ad attrarre e a trattenere più giovani rispetto agli altri comparti economici. Ciò accade perché essi intravedono un orizzonte, perché colgono oggi nei contesti imprenditoriali in cui agiscono, quella cifra di futuro che consente loro di scommettere sull’intrapresa economica fiduciosi di un domani premiante anche sotto il profilo reddituale.
Priorità:
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8. Far crescere il Pil con il benessere
Se tutto viene considerato merce e il Pil diventa l’unico misuratore del benessere, la finanza – che è il naturale moltiplicatore dello stesso Pil – prende il sopravvento sull’economia reale. In questi anni l’Italia ha conosciuto il logorio di quei beni che nell’ultimo cinquantennio le hanno consentito di diventare una grande potenza economica. Un ulteriore peggioramento su questa strada, potrebbe comprometterne severamente la ripresa. Vi sono ‘beni’ dalla cui stabilità dipendono le energie stesse e la coesione dell’intera comunità: ci riferiamo alla salute, alla formazione, al concetto di sussidiarietà, alla strumentazione scientifica, a condizioni di lavoro “dignitose” che necessariamente comprendono una soglia di reddito equa per tutti. E’ tempo quindi di ripensare lo sviluppo in una logica di benessere secondo principi di sostenibilità, etica del lavoro e coesione sociale. Il Pil in tal caso è strumento e non fine ultimo di una crescita sostenibile.
Dentro al consumo di cibo c’è la cultura dei territori, la tipicità e la creatività di tutta la gente che l’ha generato. Dentro al cibo c’è la sicurezza alimentare che noi abbiamo garantito. C’è la qualità e la diversificazione assicurata dalla lotta continua che facciamo per difendere la biodiversità. Si tratta di tutta una serie di componenti immateriali che quando ci fanno stare a tavola ci fanno stare bene al di là del Pil.
Con la rete di Campagna Amica siamo riusciti a guadagnarci una forte legittimazione sociale, perché abbiamo abbandonato gli steccati del “particolare”’ andando a sondare e a raccogliere la domanda emergente fra i cittadini consumatori. Dentro i nostri farmers market si sta generando nuova economia e nuova occupazione, ma intanto cresce anche la qualità della vita, perché nascono nuove relazioni, un nuovo modo per stare insieme e per accrescere la fiducia, un nuovo modo di essere comunità.
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9. Il valore della comunità
La crisi ci ha fatto riflettere sulla necessità di investire su alcuni valori, che sono anche essi durevoli, continuativi, che non conoscono erosione: la socialità, l’amicizia, la famiglia, lo stare bene assieme; l’integrazione sociale (generazionale, tra impresa e lavoratori, tra cittadini italiani ed extracomunitari); la spiritualità nelle sue varie espressioni culturali e religiose, la solidarietà. Nella “prossimità”, che è elemento fondante della comunità, c’è l’essenza, il concetto base del modello di sviluppo verso cui dobbiamo tendere; c’è la chiave, per potersi integrare nel mare della globalizzazione senza smarrirsi, conservando la solidità e la coerenza dei nostri modelli identitari e valoriali.
Del resto l’agricoltura multifunzionale e la stessa produzione agroalimentare sono nello stesso tempo generatrici e rappresentazione di questo modello, e la stessa impresa multifunzionale, continua a rimanere al centro di questo fare “comunità”.
Analogamente, i canali relazionali ed emotivi che abbiamo saputo creare con i consumatori e i cittadini, attraverso le tante iniziative che ci vedono impegnati con le nostre bandiere nelle scuole, nelle piazze, nei borghi, nelle campagne, rispondono a questa domanda di prossimità e sono esse stesse fondanti della comunità.
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10. Etica prima di tutto
Una molteplicità di episodi in questi anni e mesi ha messo pesantemente a nudo le debolezze del ceto politico nazionale e locale. Ciò da un lato ha generato una diffusa indignazione all’interno dell’opinione pubblica, dall’altro ha dato vita a forme, movimenti e pulsioni di sapore antipolitico. Pulsioni comprensibili, ma non prive di contraddizioni, perché scaricando le colpe sul soggetto più visibile (quello politico), mettono da una parte una serie diffusa e articolata di responsabilità che investe in maniera più o meno accentuata anche altri soggetti economici e cerniere di collegamento fra istituzioni e società.
Tutto ciò – e si tratta di un problema non trascurabile – rischia di produrre un meccanismo di rimozione individuale: se la colpa è degli “altri”, le persone nel loro quotidiano agire finiscono per sciogliersi da quelle responsabilità che pure hanno e dovrebbero esercitare nella sfera pubblica e in quella privata. Se tuttavia in questi anni c’è stato un venir meno dei valori di trasparenza, di verità, di assunzione di responsabilità ciò, in taluni casi, ha investito anche le forze di rappresentanza.
A volte, infatti, è accaduto che esse abbiano espresso scarsa progettualità, bassa propensione a rischiare, incapacità di essere punto di riferimento esemplare per i loro associati, che siano rimaste prigioniere di logiche legate a rendite corporative. Ma soprattutto ci è parso che esse non abbiano saputo fuoriuscire dalla logica schiacciante del “presente” e a configurare quella proiezione in chiave futura di cui il Paese ha bisogno. Che ciò sia il riflesso di una più generale miopia e assenza di lungimiranza della classe politica, non è motivo di consolazione.
Noi, proprio perché abbiamo messo al centro della nostra azione il bene comune, abbiamo tenacemente tenuto insieme gli interessi particolari dei nostri imprenditori con quelli più generali dei cittadini e quindi del Paese. L’abbiamo fatto con l’obiettivo di offrire ai nostri associati e ai cittadini una chiave di soluzione delle problematiche dell’oggi da un lato, e dall’altro di donare ai nostri figli e al Paese le radici di “un nuovo civismo”.