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I batteri nel cibo (da cuocere…) mettono a rischio la sicurezza?

17 Luglio 2015
I batteri nel cibo (da cuocere…) mettono a rischio la sicurezza?

 Il Ministero della salute in una nota del 16 giugno scorso (https://goo.gl/3I29oT ) fa sapere agli organi di controllo ufficiale che i molluschi lamellibranchi sono frequentemente contaminati da norovirus, uno dei più importanti agenti di malattia alimentare, si "devono" commercializzare indicando in etichetta che devono essere consumati cotti anche nel caso in cui le analisi di laboratorio condotte dagli stessi organi ufficiali abbiano dato esito sfavorevole.  Tale dicitura, in linea con i requisiti del regolamento 2073/2005 proprio sui criteri microbiologici degli alimenti, sembra effettivamente di buon senso e pone al riparo il consumatore ed il produttore/venditore, in quanto il cibo così immesso in commercio è a tutti gli effetti considerato sicuro.

La direzione servizi veterinari Veneto, tramite il dr Fabrizio de Stefani, sottolinea però l’incongruenza con il trattamento di altri alimenti di origine animale: “per i polli, che allo stesso modo delle cozze sono "ecologicamente" contaminati da salmonella almeno nel 25% dei casi ma che nessuno si sognerebbe mai di mangiare crudi e che riportano costantemente in etichetta l’indicazione <<da consumarsi cotti>>, i NAS, dipendenti dal Ministro dallo stesso dicastero di cui sopra, denunciano alla magistratura produttori e i veterinari ispettori di un macello avicolo per aver consentito la commercializzazione di questi polli. Entro una operazione denominata “Hell’s Chicken” (Pollo infernale- ndr, riprendendo e parodiando il titolo del noto programma reality Hell’s Kitchen, cucine di inferno). In definitiva, permane una situazione di totale incertezza normativa.”

Le indagini dei NAS

Dalle indagini dei NAS nel caso in questione, sono emerse –stando agli atti- "irregolarità nella conduzione dell’attività industriale, inadempimenti e violazioni a carico dei vari Veterinari Pubblici incaricati del controllo e della vigilanza sanitaria". Tutti fatti che "denotavano una carente conduzione gestionale dello stabilimento e facevano sorgere sospetti sulle attività di vigilanza e controllo dell’ufficio veterinario pubblico con sede nello stesso". Sono stati accertati i reati di "falso ideologico in atti pubblici, avendo i veterinari pubblici attestato falsamente di aver proceduto ad attività di controllo e campionamento di fatto non effettuati personalmente, abuso d’ufficio e omissioni in atti d’ufficio, non avendo proceduto all’adozione di provvedimenti sanitari necessari ed indispensabili per la tutela della salute dei consumatori ed, infine, omessa comunicazione alla magistratura di fatti costituenti reato".

Al netto dei capi di imputazione, che andranno accertati, rimane un vulnus, non tanto strettamente normativo– all’Allegato I del reg. 2073 vi sono infatti criteri microbiologici per valutare la idoneità del pollo alla commercializzazione, in seguito a campionamento adeguato- quanto più in generale, regolatori. Infatti, in base alle indagini routinarie messe in atto dalle autorità nazionali e riportate da Efsa, la contaminazione di salmonella rispetto alle carni avicole è bassa ma costante (1,6%-6%) senza considerare più puntuali condizioni igieniche. Per contro, i criteri del 2073 hanno previsto col tempo una diminuzione dei livelli di salmonella adeguati (dall’1.1.2006 deve essere assente in 10 g di carne di pollo, dall’1.1.2010 assente in 25 g di carne di pollo).

L’avvocato Daniele Pisanello, di Lex Alimentaria, così, richiama le più generali condizioni imposte dal reg. (UE) 178/2002 nel definire il cibo come sicuro. Laddove all’articolo 14, si fa espresso riferimento alle normali condizioni di consumo da attendersi circa l’alimento e alle informazioni messe a disposizione del consumatore proprio per favorirne un consumo sicuro. L’indicazione “da consumarsi previa cottura” in linea con quanto previsto dal reg. 2073/2005-dovrebbe quindi essere sufficientemente cautelativa.

In ogni caso, Efsa e Ecdc riportano nel loro abituale rapporto sulle zoonosi, che i dati sulla presenza di salmonella negli alimenti sono stabili negli ultimi anni, originando prevalentemente da uova. La carne cruda di pollo in media contiene nel 1,6% dei casi una apprezzabile carica batterica di salmonella, che dovrebbe invece essere del tutto assente (25 grammi per 30 campioni) – e circa il 5-6% della carne macinata di pollo ne contiene.

La salmonella negli alimenti è in costante declino nella UE in ragione dei piani nazionali che sono stati adottati. Rimane comunque questa incertezza, da un lato tra criteri finali del prodotto (assenza di salmonella) e dall’altra, “esigenze” di processo (consumare previa cottura) che possono portare il cibo ad essere comunque sicuro.

Sembra però- ed in definitiva- che lo specifico caso in esame permette di arrivare ad alcune conclusioni:-

– la dicitura "da consumarsi previa cottura" è additiva e non sostitutiva delle più ampie norme di controllo e campionamento che a norma del reg. 2073 l’azienda deve mettere in campo; va quindi a tutelare maggiormente il consumatore, ma senza ammettere alcun tipo di contaminazione della carne (il livello ammesso… è 0!).

– la sanzione contestata sembra dipendere da più generali aspetti di cattiva gestione nel piano di autocontrollo, con una omissione di verifiche interne -pure dichiarate- che non possono certamente passare inosservate in un impianto che trasforma alimenti di origine animale e di portata chiaramente industriale.

 

Salame in fase di stagionatura

Proprio di questi giorni poi una sentenza della Corte di Cassazione sez. III, n. 662 chiarisce che alimenti di origine animale in fase di stagionatura e contaminati (da batteri o tossine batteriche), costituisce reato-  in particolare, frode tossica. Le tossine stafilococciche contenute in un formaggio di malga, pur essendo ancora in fase di stagionatura sono idonee, sufficienti e atte a causare un pericolo concreto. Il reato, considerato rispetto all’articolato della legge 283/62 (art. 5 e 6), prevede infatti che vada sanzionata (in questo caso con 5.000 euro di multa) anche la “detenzione” di alimenti capaci di nuocere alla salute, di alimenti che non abbiano ancora raggiunto il consumatore- e non già soltanto la vendita (a differenza ad esempio delle mere prescrizioni di etichettatura, per le quali è solitamente sanzionabile solo l’alimento con etichettatura errata già posto in vendita). Nonostante l’obiezione della difesa- che affermava come il produttore, avendo pieno controllo del processo, potesse esser pienamente in grado di distrarre il prodotto dalla commercializzazione- la Corte ha deciso diversamente, condannando l’azienda.

Certo i diversi casi e la frammentazione delle decisioni prese dalle autorità di controllo come al solito, non aiutano. Ma è bene ricordarci come l’Europa per tanti versi, abbia adottato un approccio più cautelativo, di sicurezza alimentare non solo di prodotto finale ma anche di processo. Certamente più onerosa, per i produttori, e costosa-e soprattutto- con diversi quadri interpretativi.