Con il perdurare della crisi economica gli acquisti- anche alimentari – degli italiani hanno profondamente risentito di una minore disponibilità di spesa.
Tutto ciò è finito per tradursi tanto in una riduzione in quantità che in valore addirittura di diversi generi alimentari, come rilevato anche da ISMEA.
Ma un aspetto pure rilevante riguarda il “passaggio”a format distributivi low cost, come appunto i discount- con rischi inevitabili di un peggioramento della qualità e a volte, con il rischio di frodi (più o meno legalmente “protette” da normative vaghe) e talvolta anche di sicurezza alimentare.
Un’altra conseguenza è stato il proliferare di prodotti apparentemente “sostitutivi”, con costo minore, promessa di qualità apparentemente identica, ma che si rivela- ad una analisi appena più precisa- decisamente più bassa. Anziché sostituire il canale insomma si è direttamente sostituito il prodotto alimentare.
Un caso emblematico è costituito dalle “birre low cost” straniere, che fanno concorrenza sleale alle nostre nazionali. Di che si tratta? Una prima indagine è stata pubblicata da Il Salvagente e ripresa da diverse testate. In breve…
C’è birra e birra
La birra è di per sé una bevanda semplice, realizzata a partire da ingredienti naturali. acqua, malto d’orzo e luppolo, secondo la legge tedesca sulla purezza della birra che risale al …1518.
Ma quanta acqua e quanta sostanza?
In Europa manca una legislazione armonizzata, coesistono perciò le più svariate norme nazionali sulla base delle quali, da paese a paese, é consentito vendere come “birra” bevande anche molto diverse, con parametri produttivi e qualitativi del tutto distanti.Questa situazione dovrebbe venire affrontata nelle opportune sedi legislative europee, é certo.
Frattanto, bisogna informare il consumatore in maniera adeguata, aiutarlo a distinguere la vera birra rispetto a una banale acqua amarognola giallastra o brunita. Perchè purtroppo in italia vengono venduti fiumi di bevande "low-cost" che assomigliano alla birra e sono esposte negli stessi scaffali, ma con la vera birra hanno poco o nulla a che vedere. E dove finisce per spuntarla chi fa il prezzo più basso, certo che il consumatore non avrà altri elementi per capire la diversità del prodotto, pur sempre “birra“.
Il risultato? Una presa in giro dei consumatori italiani e una penalizzazione indiscussa del prodotto ‘MADE IN ITALY’, che –come spesso accade- ha saputo crearsi una reputazione e spesso anche legami speciali con i territori di appartenenza e con le filiere agricole locali. Gli stessi micro-birrifici agricoli (proilferati dopo il DM 212 del settembre 2010, che definisce la birra come "agricola" in caso che la prevalenza della materia prima conferita provenga dalla azienda agricola retrostante) risultano penalizzati da questa lotta al ribasso.
Italia…
La normativa nazionale sulla birra risale al 1962 (legge 1354) ed é forse la più restrittiva in europa, poiché prescrive un determinato quantitativo di ‘sostanza’, cioè di malto. La quantità di malto si esprime in termini di “gradi plato”, vale a dire di tenore saccarometrico che deve essere pari a 10,5, equivalente a un grado alcolico di 3,5% nella birra.
Ma in altri paesi – quali Belgio, Polonia, Germania, Olanda, Slovenia – È possibile produrre e come "birra" bevande con un grado plato inferiore (a partire da 3!). Il trucco di alcuni furbetti di ‘discount’ e supermercati è allora questo: importare birre annacquate, magari con “sounding” interessante (tedesca od olandese), facendole liberamente circolare in Italia grazie al principio del "libero scambio".
Il consumatore, attratto dal basso prezzo e dal nome suggestivo, carica il carrello di acqua amarognola colorata senza rendersi conto del "bidone". intanto l’alcol non manca, perché il tenore alcolico della birra low cost viene aumentato artificialmente, senza che il consumatore ne venga informato, come al solito.
Concorrenza sleale… “a doppio malto”
La furberia dei distributori è duplice: le birre annacquate costano meno non solo per i minori costi di produzione – più acqua e meno sostanza – ma anche perché le accise sono applicate sul grado plato anziché su quello alcolico.
L’acqua amarognola colorata costa meno in tutti i sensi, e tuttavia viene venduta al pari della vera birra, con buona pace della correttezza delle pratiche commerciali che l’Antitrust dovrebbe tenere sotto controllo.
La birra straniera ad esempio paga 20 centesimi al litro di accisa, contro i 30 della birra nazionale. Una differenza significativa, soprattutto in un momento di crisi economica, e con le birre spesso in offerta promozionale da parte della Grande Distribuzione. Che come nel caso di altre “frodi”, ha tutto il vantaggio a nascondere la differenza, nel nome di un presunto vantaggio dei consumatori finali… nell’avere prezzi sempre più bassi.
I tanti volti dell’Europa
L’Europa della normativa alimentare e delle categorie merceologiche rischia di diventare sempre più una babele. Già abbiamo dato la notizia della “falsa” sambuca colorata, con incapacità della Commissione europea di tutelare il vero prodotto italiano. Discorso simile per l’olio extravergine di oliva (sebbene le modifiche alle norme di commercializzazione varate lo scorso autunno portino ad un abbassamento degli alchil-esteri nel giro di due anni, fino ad un massimo di 35 mg/litro). O dei Wine kit, e delle finte mozzarelle, per non parlare dei simil-grana. Mentre Coldiretti sta cercando di portare avanti altre battaglie per stringere le maglie di legislazioni o troppo permissive, o invece non armonizzate tra i paesi, con concorrenza sleale, nei fatti. Oltre alla birra, il discorso delle bevande a base di frutta è emblematico, con diverse soglie nei vari paesi. In tali circostanza, si configurano le condizioni ideali sia per frodi e inganni ai consumatori, sia per una vera e propria concorrenza sleale con diversi livelli di tassazione. E proprio in tali circostanze, l’unico fattore determinante- in una corsa al ribasso- diventa il prezzo. Con buona pace del modello produttivo retrostante, che in base alla Commissione Europea, dovrebbe essere improntato ad una “agricoltura differenziale e di qualità”, agli antipodi rispetto a USA; Canada e paesi terzi.
Un inventario UE
Andrebbe allora promosso un inventario UE per verificare le lacune nelle norme di commercializzazione tra prodotti che finiscono per farsi concorrenza sleale, saldando tale richiesta ad una tutela sia dei consumatori, che dei produttori, e infine della stessa agricoltura UE. Idealmente, DG AGRI, DG Enterprise ma anche DG Internal Market e DG SANCO insieme al neo-costitutio team- antifrodi- dovrebbero interessarsi al tema.
Inoltre bisognerebbe riuscire a superare il principio del mutuo riconoscimento che consente di commercializzare negli Stati Ue prodotti analoghi ed alle stesse condizioni di quelli commercializzati in casa propria. O ancora meglio di farlo valere nella sua interezza, visto che implica la tutela del diritto della salute pubblica e dei consumatori, nonché di aspetti relativi alla fiscalità (Sentenza Cassis de Dijon)
Diversamente il rischio è una vera e propria tendenza ad esportare prodotti e standard al ribasso. E con una concorrenza iniqua che si comincia a sentire soprattutto quando la crisi economica morde.