La XIII Commissione Agricoltura ha convocato un’audizione sui danni da lupo agli allevamenti, problema più volte sollevato da Coldiretti anche con riferimento alla presenza di ibridi e di cani inselvatichiti. In particolare gli ibridi sono più aggressivi dei cani inselvatichiti e rappresentano anche un pericolo per la conservazione del patrimonio genetico del lupo, in quanto si accoppiano con gli stessi lupi.
Il lupo (Canis Lupus) è una specie protetta a livello nazionale ed europeo ed è inserita nella così detta Lista rossa dell’Unione internazionale per la conservazione della natura (Lucn) come specie vulnerabile ad alto rischio di estinzione in natura nel medio periodo. Protetto dalla "Direttiva habitat" 92/43 dell’Unione Europea all’allegato IV del documento: "Specie animali e vegetali d’interesse comunitario che richiedono una protezione rigorosa", in Italia la specie ha tale statuto ai sensi dell’art. 2, della Legge del 11 Febbraio 1992, n. 157.
Nel passato si pensava che i lupi potessero vivere solo in zone montane o in grandi foreste, ma ciò era dovuto alla persecuzione che ne aveva ristretto la popolazione in aree remote. Al giorno d’oggi è ovvio che, in assenza di una pesante azione di contenimento, i lupi possano vivere vicino alle zone abitate.
Coldiretti ha evidenziato nel corso dell’audizione che durante le ultime quattro decadi, le nuove politiche di conservazione, l’incremento degli ungulati e l’estensione della vegetazione naturale, facilitati dalla migrazione di popolazioni dalle zone rurali a quelle urbane, hanno permesso il recupero di numerosi branchi in molti areali europei ed anche in Italia.
Ad ogni modo, il conflitto tra lupo e attività zootecniche è un problema ampiamente conosciuto e documentato. I lupi predano ungulati vulnerabili, come il capriolo (Capreolus capreolus), il cervo rosso (Cervus elaphus), il camoscio (Rupicapra spp.) e il cinghiale (Sus scrofa) nell’Europa meridionale, ma si concorda che la predazione del lupo sul bestiame domestico sia la ragione storica della persecuzione e del conseguente declino della specie.
Il conflitto generatosi tra presenza del lupo ed attività zootecniche si è, peraltro, ulteriormente inasprito nel corso degli ultimi decenni per la mancanza di interventi incisivi nelle aree rurali da parte delle istituzioni competenti, rappresentando, tuttora, una delle principali minacce per la sopravvivenza della specie come dimostrato dall’analisi della distribuzione. All’interno dell’areale distributivo, infatti, la maggior parte degli abbattimenti avviene solitamente dove sia registrata una più elevata densità di allevamenti ovini.
La popolazione italiana di lupo è, comunque, passata dal suo minimo storico – raggiunto all’inizio degli anni Settanta con circa 200 individui distribuiti in un areale discontinuo e frammentato, agli attuali 500-600 capi, sebbene questo sia un dato risalente ad alcuni anni fa e, dunque sottostimato, con un, areale in continuo aumento. Nel 2002 è stato pubblicato il Piano d’Azione Nazionale per la conservazione del lupo adottato dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, all’interno del quale si dà assoluta priorità ai programmi di monitoraggio della specie ed al suo impatto sulla zootecnia nonché all’attenuazione del conflitto con essa tramite interventi di informazione e sensibilizzazione, prevenzione e compensazione dei danni. Tale strategia, anche alla luce dei problemi attuali, non ha dimostrato, tuttora, reale efficacia e richiede anche sul piano della ricerca un sostanziale aggiornamento.
D’altra parte, la competenza in materia è demandata alle Regioni, con notevoli differenze legislative, se bene anche in presenza di dettagliate soluzioni legislative la serie di tradizionali strumenti di intervento si è rivelata del tutto inadeguata. Ad esempio, la Toscana con la l.r. n° 26/05 Tutela del patrimonio zootecnico soggetto a predazione ha disposto interventi finalizzati alla tutela del patrimonio bovino, ovicaprino ed equino soggetto a predazione da parte di predatori protetti delle specie lupo, aquila reale e gatto selvatico.
A tal fine sono previsti contributi per la realizzazione di opere di prevenzione destinate a proteggere gli animali allevati e per la stipula di contratti assicurativi per i danni causati dall’attacco di predatori. Nello specifico, le opere di prevenzione soggette a contributo sono: stalle o ricoveri notturni, recinzioni metalliche o elettriche, sistemi fotografici di allerta o di videosorveglianza. I contributi per la stipula di contratti assicurativi sono concessi esclusivamente ad imprenditori agricoli che hanno nella propria azienda almeno una delle opere di prevenzione elencate ed i risarcimenti vengono corrisposti previa attestazione dell’avvenuta predazione da parte di un medico veterinario.
Rimangono, tuttavia, a carico dell’allevatore le spese per lo smaltimento delle carcasse e dei rifiuti animali, sicché a seguito dell’emergenza sanitaria delle encefalopatie spongiformi trasmissibili è, oggi, in vigore l’obbligo della termodistruzione delle carcasse di ovicaprini, bovini e bufalini (Reg. CE 1774/2002), che comporta costi elevati, spesso superiori ai rimborsi erogati per la perdita dell’animale.
Il problema dei danni da lupo dagli allevamenti è stato segnalato anche all’Ue. Nel 2009, la Direzione Generale Ambiente della Commissione Europea, nell’ambito del Gruppo di coordinamento sulla biodiversità e la natura, ha deciso di insediare una sessione di lavoro sul lupo con l’obiettivo di creare un momento di discussione e di condivisione delle esperienze sull’applicazione pratica delle Linee guida sui piani di gestione dei grandi carnivori, su cui Coldiretti ha presentato le proprie valutazioni in merito ai danni provocati alle imprese zootecniche posto che, se il ritorno della presenza del lupo negli areali italiani è un fenomeno positivo sul piano della tutela della biodiversità, d’altro canto, l’assenza della messa in atto di adeguate misure di prevenzione in molte Regioni, ha determinato un incremento nei danni, mettendo a rischio la continuità delle attività zootecniche.
In ogni caso, appare decisivo accertare, in presenza di danni agli allevamenti se la responsabilità sia imputabile al lupo o alla presenza di ibridi o cani inselvatichiti, che in alcune aree rurali, sono diventati sempre più numerosi e la relativa presenza non sostenibile: di solito accade che l’allevatore perda alcuni capi di bestiame, si rivolga alle autorità competenti senza ottenere alcun risarcimento in quanto ufficialmente la presenza del lupo non é accertata con sicurezza, essendo nota anche la presenza dei cani inselvatichiti ai quali potrebbe essere imputato il danno.
Invece, i veterinari che vengono interpellati in caso di danno non riescono a distinguere la causa della morte degli animali in quanto non si è in grado di distinguere se l’aggressione sia imputabile al lupo od al cane (entrambi mordono nello stesso modo e per lo più la tecnica di caccia è la stessa). A fronte di questa situazione diversi allevatori, ad esempio in Abruzzo, hanno modificato le loro abitudini facendo rientrare le greggi al pascolo per metterle al riparo di notte nei ricoveri anche durante la stagione estiva con pesante aggravio dei costi.
Secondo Coldiretti, le soluzioni possibili da impiegare congiuntamente sono prevedere misure che permettano di censire gli esemplari per localizzare gli habitat e i popolamenti, ristabilendo una presenza sostenibile per il territorio e le attività agricole stabilendo una zonizzazione e individuando le aree dove non è presente l’attività agricola di allevamento e, quindi, la presenza del lupo come specie protetta non crea danni e quindi la riproduzione della specie è auspicabile da quelle dove tale presenza deve essere pressoché assente a causa della presenza della zootecnia.
Serve poi rivedere il sistema di accertamento e risarcimento dei danni affinché oltre a garantire un completo reintegro della perdita di reddito per l’agricoltore siano coperti non solo i danni da lupo, ma anche quelli causati da cani inselvatichiti. Il risarcimento deve coprire non solo i costi di perdita del capo animale ma anche la mancata produzione di latte o di carne. In particolare il risarcimento dei danni deve essere calcolato, sulla base di principi equitativi, assumendo come valore di riferimento l’entità del danno accertato dai tecnici incaricati facendo riferimento ai prezzari pubblicati dai Mercuriali della Camera di Commercio della Provincia riferiti al momento in cui si è verificato il danno o, in alternativa, alle rilevazioni effettuate dall’Ismea sulle piazze di riferimento.
Ancora va previsto un sistema di misure di prevenzione dei danni incentivando finanziariamente le imprese agricole con un adeguato regime di sostegno nonché sistemi assicurativi contro i danni i cui costi devono essere a carico al 100% degli enti pubblici competenti a gestire la fauna selvatica; ma va anche risolto il problema dello smaltimento delle carcasse degli animali da allevamento con oneri a carico della Pubblica Amministrazione o ammettere il sotterramento in azienda. Infine, si potrebbero costituire delle ronde con volontari che collaborino con i pastori e gli allevatori nella sorveglianza.
Ad ogni modo, è ormai urgente che le Amministrazioni competenti prevedano misure atte a ristabilire un giusto equilibrio tra la presenza del lupo e quella degli allevatori, soprattutto pastori, che tramite la loro attività conservano e valorizzano le aree di montagna e le sue tradizioni.
Testo dell’audizione alla Camera dei Deputati di Coldiretti sui danni da lupo