Con sentenza 15824 dello scorso 8 luglio, la Corte di Cassazione ha motivato un “obbligo di sicurezza” da parte dell’acquirente di merce (nel caso specifico, olive in salamoia con erbe e peperoncino) destinata al consumo alimentare umano, nei confronti del consumatore finale.
Tale obbligo si traduce in controlli a campione sulla genuinità del prodotto, ma solo se distribuito su scala industriale.
In tal modo, si rafforza e chiarisce la responsabilità d tutti gli operatori del settore, anche dell’industria e dei distributori– peraltro previsto dalla normativa europea, dal reg. 178/2002 in poi- e si precisa come non si possa fare affidamento solo sull’osservanza delle regole da parte del fornitore da cui si è acquistato il prodotto, circa l’obbligo di non fornire alimenti adulterati o contraffatti.
Un passo indietro…
All’articolo 17 del reg. 178, al paragrafo 1 (obblighi degli operatori) si affermava:
"Spetta agli operatori del settore alimentare e dei mangimi garantire che nelle imprese da essi controllate gli alimenti o i mangimi soddisfino le disposizioni della legislazione alimentare inerenti alle loro attività in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione e verificare che tali disposizioni siano soddisfatte”. Previsione a dire il vero, mostruosamente semplice e non in grado di dirimere controversie entro i moderni sistemi produttivi dell’agroalimentare. In caso di un prodotto contaminato venduto al consumatore, chi è responsabile: il fornitore degli ingredienti, già contaminati, o l’industria più a valle che lo ha lavorato e poi distribuito?
Sudan Rosso e dintorni
Il caso nasce da un distributore che forniva spezie, poi rinvenute contaminate con il colorante cancerogeno Sudan Rosso, all’industria alimentare, nel 2002. Il colorante, risultava peraltro proibito dalla normativa italiana e internazionale.
L’acquirente- una nota ditta italiana- aveva acquistato circa 5 tonnellate di peperoncino negli anni 2002 e 2003, per preparazioni alimentari (conserva a base di olive verdi alle erbe aromatiche e peperoncino). L’azienda aveva chiesto- in seguito ad un allerta alimentare francese, proprio su peperoncino contenente Sudan rosso- garanzie esplicite ai propri fornitori, che le venivano fornite a tutti gli effetti. Tuttavia, in seguito a controlli dell’Asl di Asti, si rinveniva nella conserva di olive Sudan rosso. L’azienda, chiese allora il risarcimento danni alla ditta di fornitura. La quale però obiettò che:
– Fino al 2003 la minaccia di Sudan I rosso era del tutto sconosciuta agli operatori del settore;
– Era del tutto sconosciuta anche ai controllori, che non lo determinavano analiticamente in ragione della mancanza di un metodo accreditato.
Dopo una condanna a risarcimento in secondo grado a carico del fornitore di peperoncino, però la Cassazione ha ribaltato il verdetto.
Stabilendo che- in ragione dell’incertezza intrinseca dei rischi alimentari in filiere globali (non prevedibili a priori , e spesso su sostanze non note) è responsabilità stessa anche del rivenditore effettuare controlli a campione.
Sentenza rivoluzionaria o applicazione delle regole UE di base?
Insomma, le procedure di autocontrollo su cui si basa l’HACCP non avrebbero consentito di individuare – sulla base del principio giuridico della pregressa conoscenza e prevedibilità dei rischi tipici del settore alimentare- l’evento avverso in questione. Che da un punto di vista della filosofia della scienza, si configurerebbe come un “unknown unknown” (un evento che non si conosce, -l’uso di Sudan rosso nel cibo- e di cui non si sa la portata –quali alimenti, da quali paesi, quando…), di fatto impossibile da monitorare e controllare.
E’ stato infatti provato in modo inconfutabile- si legge nella sentenza- che prima del giugno 2003 la presenza di Sudan rosso I negli alimenti non costituiva un rischio potenziale, né quindi, prevedibile. Solo con decisione 2003/460/ CE la Commissione ha deciso di prevedere controlli analitici a seguito di relazione, da parte dell’importatore od operatore interessato, in modo da certificare l’assenza di Sudan rosso nelle partite di peperoncino.
Responsabilità condivise
La sentenza è quindi in qualche modo rivoluzionaria, e ha una portata epocale? In caso di rischi emergenti per la sicurezza alimentare sconosciuti – e parafrasando la sentenza, “accidentali, imprevedibili e straordinari”- (come guarda a caso, accade sempre più spesso in filiere lunghe e con diversi livelli di responsabilità); con difficile per non dire impossibile identificazione a-priori di tutti i rischi, e anzi, “con la necessità di selezionarne alcuni, i più probabili” (come dichiarava il Giudice di primo grado)- la regia della sicurezza deve riguardare tutti gli operatori, senza alcun scarico delle responsabilità.
Certo, è un caso limite, in cui diventa difficile tagliare con l’accetta le responsabilità. Ma proprio per questo, stante l’incertezza e aspetti oggettivi che sottolineano l’imprevedibilità di nuovi rischi, tutti devono vigilare.
Di fatto, si torna al punto di partenza del 178: gli alimenti a rischio non possono essere immessi sul mercato.
E il distributore ha le stesse responsabilità verso il consumatore finale (art. 19 reg. 178/2002) che addebita al fornitore. Entrambi quindi hanno la colpa di aver fornito prodotto contaminato, senza aver “affiancato ad analisi di routine anche ulteriori analisi di controllo, volte ad escludere la presenza di, talora massicce, contaminazioni e sofisticazioni alimentari identificabili”.
Va notato, in ogni caso, come la nuova normativa europea, il Reg. 1169/2011 (art. 8), a tal riguardo sia esplicita nell’attribuire una responsabilità chiara –nel caso di prodotti alimentari provenienti da fuori Europa- ad un operatore stabilito in UE, che a tutti gli effetti diventa responsabile.
Il tema della responsabilità lungo la filiera è ormai ampiamente dibattuto. Fino all’entrata in vigore del Reg. (UE) 1169/2011, si è ritenuto che il distributore di alimenti -anche quando non responsabile né del confezionamento né dell’etichettatura- avesse una responsabilità nei confronti del consumatore (cosiddetta sentenza "Lidl Italia", C-315/05). Tale sentenza originava in realtà da un vuoto: quello della Direttiva 2000/13, che non prevedeva disposizioni specifiche per attribuire la responsabilità, mancando di declinare in termini puntuali l’articolo 17 del reg. (CE) 178/2002.
In base alle nuove disposizioni del reg. 1169 tuttavia, la responsabilità grava di norma sul produttore o importatore se il produttore è fuori dalla UE (fatta salva la responsabilità del distributore in caso di modifiche dell’etichetta; o in caso di assenza della stessa, in tutto o in parte). In tal modo, si trova un soggetto "europeo" responsabile: un passaggio di non poco conto e che rende la filiera certamente più sicura.
Infine, in base alla direttiva 85/374 (responsabilità in caso di prodotto difettoso) l’onere ricade solitamente sul produttore, anche quando il distributore abbia una responsabilità oggettiva nel causare le condizioni per il verificarsi del difetto e del danno conseguente. Questo vale anche per i prodotti agroalimentari, come chiarito dalla direttiva 99/34 che estende lo scopo anche a prodotti agricoli non trasformati.