In un sondaggio di Ixe’ per Coldiretti fatto nel marzo del 2021 solo il 7% dei consumatori dichiarava di conoscere l’agricoltura biodinamica; il resto del campione non ne sapeva nulla o al massimo aveva solo sentito qualche volta parlare di biodinamico. Nonostante ciò, il sondaggio registrava comunque verso le produzioni biodinamiche un consolidato clima di fiducia da parte dei consumatori: il 61% si dichiarava fiducioso della denominazione, anche, evidentemente, senza aver avuto modo di conoscerne i dettami.
Gli ultimi dati disponibili ci dicono che ad applicare le metodiche biodinamiche sono circa 4.500 imprese e, di queste, un numero limitato richiede e consegue la certificazione biodinamica Demeter. Ad oggi, infatti, le aziende certificate per il biodinamico in Italia sono circa 420 per un’estensione di 12,8 mila ettari coltivati e circa 200 milioni di fatturato.
In questo scenario, nel corso di quest’anno, sul tema della biodinamica è stata scatenata una guerra che ha visto protagonisti tutti i maggiori organi dell’informazione. Il biodinamico è salito alla ribalta sulle pagine di quotidiani, in approfondimenti televisivi, in un confronto, particolarmente acceso nel Paese tra scienza e antiscienza, che ha fatto diventare il metodo produttivo un bersaglio contro cui si sono scagliati tutti, nonostante il livello di conoscenza fosse quello del sondaggio di cui sopra.
Dopo un anno di questo tipo di esposizione mediatica del biodinamico, il medesimo sondaggio, fatto oggi, darebbe numeri ben diversi: certamente la maggior parte della popolazione ha avuto modo di sentir parlare di biodinamico ma, parallelamente, si registrerebbe immancabile un crollo del clima di fiducia. Non può che essere questo il risultato di un anno di informazione martellante che ha legato, in maniera inesorabile nella narrazione del biodinamico, il termine “esoterismo” tra le principali caratteristiche del metodo produttivo.
Non un buon servizio di informazione visto che, fin da sempre, il biodinamico è stato parte del movimento del biologico, segnandone addirittura la storia, ispirando finanche i principi della prima regolamentazione comunitaria di settore di 30 anni fa. La certificazione Demeter tra l’altro già contiene tra le sue prescrizioni l’obbligo di essere certificati ai sensi della regolamentazione europea sul biologico.
Il disciplinare del biodinamico, nel quale sono effettivamente riportati alcuni aspetti di chiara derivazione filosofica, contiene delle prescrizioni di assoluto rigore agronomico: la presenza di animali in azienda con l’obiettivo del ciclo chiuso, la cura per la gestione della fertilità del suolo ed una maniacale attenzione alle lavorazioni dei terreni, l’applicazione rigorosa di rotazioni colturali, la gestione dei patogeni e delle malattie senza ricorso ad input chimici di sintesi. Si tratta di regole che, prendendo come base il disciplinare europeo per il biologico, ne valorizzano i principi attraverso prescrizioni specifiche e vincolanti. Nelle aziende biodinamiche si pratica quindi un metodo produttivo il cui obiettivo è la sostenibilità. Un metodo produttivo di elevatissimo valore ambientale ed economico, la cui applicazione consente di ottenere prodotti di eccellenza qualitativa, apprezzati in ogni parte del mondo.
Su queste tematiche e con questi obiettivi non c’è solo il biodinamico, ma sono numerose le iniziative in ambito agricolo che si stanno sviluppando in Europa e nel nostro Paese nel tentativo di standardizzare, con regole, disciplinari, marchi e certificazioni, alcuni processi per la produzione del cibo, orientate alla sostenibilità ambientale ed alla economia circolare.
Agricoltura naturale, rigenerativa, simbiotica, permacultura sono solo alcune delle definizioni che cercano di rappresentare i diversi percorsi produttivi che agricoltori, spesso accompagnati da ricercatori, stanno provando a mettere in campo, con diverse sfumature, nell’obiettivo comune di incrementare la fertilità del suolo e ridurre gli input esterni all’azienda.
Si tratta, in pratica, del tentativo di rendere applicativi i principi dell’agroecologia, definendo regole produttive che possano essere standardizzate, e quindi certificabili, al fine di valorizzare i prodotti messi in commercio, spesso in mercati particolarmente attenti alle tematiche ambientali, come quelli del nord Europa.
Sono tutte sfide interessanti e soprattutto condotte, nella maggior parte dei casi, da imprese appassionate che impegnano risorse preziose per trovare nuovi percorsi e che pertanto meritano il massimo rispetto, evitando banalizzazioni o strumentalizzazioni, come successo nel caso della biodinamica.
Non possiamo però consentire che in questi ambiti si creino confusioni e fraintendimenti a danno di agricoltori e di consumatori. Il percorso della transizione ecologica non può prevedere scorciatoie ma deve valorizzare i percorsi come quello della regolamentazione del biologico che, a fatica, lavorando con le imprese e con le istituzioni europee, sono già stati messi in campo anni fa e che sempre di più si stanno consolidando.
In questo senso l’approvazione della legge sul biologico n. 988 al Senato avvenuta nei giorni scorsi rappresenta un passaggio importante. Per Coldiretti è un risultato importante che sia mantenuto anche il riferimento, che tanto sta facendo discutere, sull’equiparazione al biologico dei metodi produttivi “alternativi”, tra cui il biodinamico.
Riconoscere il biologico, con le sue regole e certificazioni, come base minima su cui poter sviluppare disciplinari e marchi di commercializzazione per le produzioni sostenibili e i principi dell’agroecologia, vuol dire dare certezza ad agricoltori e consumatori. Se tanto si è lavorato nel biologico nel corso di questi anni per sviluppare tecniche produttive, norme e sistemi di garanzie, riconoscibilità e valore del prodotto sul mercato, appare evidente che tutto questo lavoro non può essere perso ma anzi deve essere posto al centro della transizione ecologica dell’agricoltura. ?