Il mercato del biologico in tutta Europa dopo anni di tumultuosa crescita, con percentuali di incremento anche a doppia cifra nel momento della pandemia, sta segnando in questi ultimi mesi un momento di rallentamento.
In Germania nel primo semestre del 2022 non si registra nessuna crescita della quota di mercato rispetto al 2021 e va peggio in Francia dove a fine ottobre 2022 si è registrato un -5% rispetto allo stesso periodo di un anno fa.
La ragione principale di questo calo delle vendite, che caratterizza il biologico ma anche tutte le produzioni di qualità, è l’inflazione sui prodotti alimentari (+12% su un anno), che sta spingendo i consumatori a fare compromessi sulla spesa, rivolgendosi a prodotti meno costosi. L’impennata dei costi energetici e l’insicurezza politica causata dal conflitto russo-ucraino portano le famiglie ad assumere atteggiamenti cauti nei confronti del proprio budget di spesa.
In questo contesto, nel tentativo di tenere prezzi bassi, purtroppo a scapito della qualità, i mercati si rivolgono ancora di più a produzioni biologiche importate da paesi terzi. A confermare questa tendenza è anche la pubblicazione di questi giorni dell’annuale report sulle importazioni nell’Ue di prodotti agroalimentari biologici da parte della Commissione Europea.
La pubblicazione, che analizza i dati sui volumi delle importazioni di prodotti biologici dello strumento di gestione online della Commissione Traces (Trade Control and Expert System), fornisce degli elementi di riflessione molto chiari.
Le importazioni totali di prodotti agroalimentari biologici nell’Ue sono aumentate da 2,79 milioni di tonnellate nel 2020 a 2,87 milioni di tonnellate nel 2021 (+2,8%).
I prodotti biologici maggiormente importati nel corso dell’anno 2021 hanno riguardato in particolare, in ordine decrescente per quantità: frutta tropicale, panelli di semi, barbabietola e zucchero di canna, ortaggi freschi e secchi, caffè e tè, semi oleosi, frutta fresca o secca, semi di soia, riso.
I Paesi che maggiormente esportano verso l’Unione Europea sono nell’ordine: Ecuador, Repubblica Domenicana, India, Perù, Ucraina, Turchia, Cina, Regno Unito, Colombia, Messico.
Per alcuni prodotti, come olio di oliva e derivati di latte e carni, i dati sono particolarmente significativi.
Un quarto dell’olio d’oliva importato da Paesi terzi nell’Unione europea è certificato come biologico: su 186mila tonnellate di olio d’oliva arrivate nel 2021, 45mila tonnellate, pari al 24,0%, erano biologiche e provenivano quasi esclusivamente dalla Tunisia, rispetto al 16,3% del 2020. Il significativo aumento della quota di biologico sul totale è il risultato della forte riduzione delle importazioni di olio d’oliva non biologico (-35,8%) rispetto al bio, le cui quantità importate si riducono di pochissimo (-5,6%).
Le importazioni di latte e carne e relativi derivati raddoppiano in quantità tra il 2020 e il 2021, passando dalle 15.000 tonnellate del 2020 alle 30.000 tonnellate registrate per il 2021.
In questo contesto appare evidente che è necessario ed urgente fare ogni possibile sforzo per valorizzare il prodotto agricolo biologico nazionale, favorendo la creazione di filiere interamente made in Italy, dal campo fino alla tavola.
La creazione del marchio del biologico italiano, previsto dalla legge sul biologico da poco approvata, dovrebbe aiutare questo percorso virtuoso, consentendo ai consumatori di riconoscere immediatamente, dalle etichette, le produzioni biologiche italiane garantite e certificate. Il marchio del biologico italiano potrebbe infatti rappresentare quel sigillo nel patto fiduciario tra cittadini consumatori ed imprese agricole, per un impegno comune verso la transizione ecologica, che deve riguardare in maniera trasversale tutta la società.