Dopo aver detto addio a un milione di pecore negli ultimi dieci anni le greggi italiane devono affrontare ora la minaccia dazi del presidente degli Stati Uniti Donald Trump che ha inserito nella black list dei prodotti da colpire anche il pecorino italiano, il cui export in Usa vale ben 65 milioni. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti contenuta nel report “L’Italia dei pastori” divulgato in occasione della prima maxi protesta di mille pecore che hanno invaso a Padova della più grande piazza di una città europea.
Un appuntamento – sottolinea la Coldiretti – per affermare il valore sociale, economico, storico e ambientale della pastorizia in un momento di grande difficoltà che mette a rischio il lavoro di 60mila allevamenti e la sopravvivenza di 6,2 milioni di pecore rimaste. Una iniziativa per salutare la partenza della transumanza che l’Italia ha candidato a patrimonio Unesco dell’umanità con tosatura in diretta delle pecore, selfie con gli agnelli, laboratori didattici, pet therapy e degustazioni di pecorino a km zero al mercato degli agricoltori di Campagna Amica per raccontare – sottolinea la Coldiretti – un mestiere antico ricco di tradizione che consente anche la salvaguardia di razze in via di estinzione e vantaggio della biodiversità del territorio. Ad accompagnare il gregge Chiara Bortolas, leader veneta e vicepresidente nazionale Donne Impresa della Coldiretti insieme al team di pastori.
La pastorizia – continua la Coldiretti – è un mestiere ricco di tradizione molto duro che costringe ogni giorno alla sveglia alle 5 del mattino per la prima mungitura che sarà ripetuta nel pomeriggio per ottenere da ogni pecora circa un litro di latte al giorno che viene sottopagato. Un mestiere a rischio di estinzione non solo per i dazi di Trump ma – evidenzia la Coldiretti – anche per gli attacchi degli animali selvatici, la concorrenza sleale dei prodotti stranieri spacciati per nazionali e il massiccio consumo di suolo che in Italia ha ridotto drasticamente gli spazi verdi e i tradizionali percorsi lungo i fiumi fino ai pascoli di altura storicamente usati per la transumanza delle greggi.
Dal latte di pecora si ottengono in Italia – spiega la Coldiretti – circa 60 milioni di chili di formaggi pecorini dei quali oltre la metà a denominazione di origine (Dop) con una presenza sui mercati esteri che vale oltre 124 milioni di euro, oltre la metà diretti negli Usa. Con quasi ¼ della produzione esportata l’andamento del pecorino dipende molto dai mercati esteri dove a pesare negativamente sui prezzi del vero Made in Italy sono le imitazioni diffuse in tutto il mondo a partire proprio dagli Stati Uniti, che sono il mercato più importante per le nostre esportazioni, dove si stima che 2 pecorini di tipo italiano su 3 siano “tarocchi” nonostante il nome richiami esplicitamente l’Italia.
Si tratta – spiega la Coldiretti – di produzioni realizzate negli Stati del Wisconsin, California e New York, venduti ad esempio con il nome di “romano cheese”, che in realtà è addirittura prodotto con latte di mucca al posto della pecora. Tutto questo a fronte di una vera produzione Made in Italy a denominazione di origine che – evidenzia la Coldiretti – può vantare eccellenze assolute come il Pecorino Romano Dop, il pecorino Sardo, il Siciliano, il Crotonese il Toscano, quello di Filiano, di Picinisco, delle Balze volterrane oltre al Fiore Sardo, al Canestrato Pugliese, al Canestrato di Moliterno alla Vastedda della Valle del Belice, al Murazzano e alla Robiola di Roccaverano che usa anche caprino. Accanto ai pecorini tutelati dall’Unione Europa sono circa un centinaio quelli tradizionali censiti dalle regioni come il pecorino dei Berici in Veneto, ma numerose sono le versioni proposte dagli allevatori dal “sottocrusca” al “sottograno” fino allo “stagionato in grotta” e curato con olio.
Secondo una recente indagine Doxa – riferisce la Coldiretti – più di un italiano su dieci (12%) inserisce il pecorino nella lista dei formaggi preferiti ed è immancabile in molti primi piatti storici, dal cacio e pepe alla carbonara, dalla gricia al pesto alla genovese fino alla pasta alla pecorara. Ma arricchisce anche secondi piatti soprattutto in frittate e polpette e non manca neanche nei dolci come ad esempio nelle pizze salate di Pasqua, senza dimenticare l’irrinunciabile abbinamento fave e pecorino tradizionale per la festa dei lavoratori. Sostenere con i propri acquisti la produzione nazionale di pecorino significa – afferma la Coldiretti – aiutare il proprio territorio e contrastare anche l’abbandono delle aree più difficili dove i pastori svolgono un ruolo insostituibile di presidio.
Un impegno di elevato valore ambientale poiché – continua la Coldiretti – si tratta di un’attività che è concentrata nelle zone svantaggiate e che garantisce la salvaguardia di ben 38 razze a vantaggio della biodiversità del territorio, dalla rustica pecora sarda alla pecora Sopravissana dall’ottima lana, dalla pecora Lamon dalla testa grossa e priva di corna in entrambe i sessi alla Brogna con testa e gli arti privi di lana, dalla pecora Comisana con la caratteristica testa rossa a quella massese dall’insolito manto nero che rappresentano un patrimonio di biodiversità il cui futuro è minacciato da un concreto rischio di estinzione.
Un patrimonio che gli agricoltori di Campagna Amica sono impegnati a difendere con “I sigilli”, prodotti e animali della biodiversità agricola italiana che nel corso dei decenni sono stati strappati all’estinzione o indissolubilmente legati a territori specifici. Ma non c’è solo il formaggio – sottolinea la Coldiretti – negli ultimi anni si è sviluppato anche il recupero della lana di pecora come isolante termo acustico in edilizia dove garantisce prestazioni eccellenti sia nella protezione dal caldo e dal freddo, regolando il livello di umidità, sia contro i rumori, con un materiale naturale, sano e riciclabile.
Gli animali custoditi negli allevamenti italiani – afferma la Coldiretti – rappresentano un tesoro unico al mondo che va tutelato e protetto anche perché a rischio non c’è solo la biodiversità delle preziose razze italiane, ma anche il presidio di un territorio dove la manutenzione è garantita proprio dall’attività di allevamento, con il lavoro silenzioso di pulizia e di compattamento dei suoli svolto dagli animali.
“Per questo quando una stalla chiude si perde un intero sistema fatto di animali, di prati per il foraggio, di formaggi tipici e soprattutto di persone impegnate a combattere lo spopolamento e il degrado spesso da intere generazioni” ricorda il presidente della Coldiretti Ettore Prandini.
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