Non solo dazi, lo stop al Made in Italy a tavola nel mondo arriva soprattutto dalle barriere sanitarie e burocratiche erette spesso strumentalmente nei confronti dei prodotti agroalimentari nazionali, dal pomodoro ciliegino bloccato alle frontiere con il Canada ai porti chiusi al riso tricolore in Cina, che costano almeno mezzo miliardo all’ export nazionale. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti sul Dossier realizzato dal Ministero delle Politiche Agricole sugli ostacoli che in molti Paesi impediscono l’accesso alle esportazioni di cibi e bevande.
Si tratta – sottolinea la Coldiretti – di blocchi alle esportazioni e misure restrittive giustificati ufficialmente dal rischio della diffusione di malattie e parassiti delle piante ma che non trovano spesso riscontro nella realtà e coprono invece politiche protezionistiche.
Un freno all’export agroalimentare nazionale che è in aumento del 6,7% nei primi cinque mesi del 2019 dopo aver raggiunto 2018 il valore record di 41,8 miliardi di euro secondo una analisi della Coldiretti su dati Istat. Una vera e propria guerra commerciale sommersa che – precisa la Coldiretti – nasconde spesso la volontà di difendere degli interessi locali per aggirare anche accordi internazionali sul libero scambio.
Nonostante l’accordo Ceta di libero scambio tra Unione Europea e Canada, il pomodoro ciliegino, che era ben posizionato su quel mercato, è stato bloccato dalla richiesta delle autorità canadesi di importare pomodori senza parti verdi mentre in Cina anche dopo l’accordo sulla Via della Seta resta fermo – riferisce la Coldiretti – il protocollo d’intesa per autorizzare l’esportazione di riso da risotto con la richiesta di ulteriori informazioni da parte del governo di Pechino su quantità, superfici investite a riso in Italia, volumi importati ed esportati e una scheda sui trattamenti. Sull’impiego di particolari prodotti fitosanitari è poi incagliata la trattativa per consentire l’arrivo del riso tricolore anche in India.
Vita dura – continua la Coldiretti – anche per i kiwi con l’Italia che è il secondo produttore mondiale ma non può esportarli in Colombia ed in Giappone che frena anche sulle arance tarocco Made in Italy. L’Italia – precisa la Coldiretti – resta in attesa di indicazioni da parte delle autorità della Corea del Sud per aprire le porte agli agrumi. Porte chiuse alle mele nazionali in molti Paesi asiatici come la Tailandia, il Vietnam e Taiwan ma nostri produttori sono in attesa di riscontri anche per l’atteso via libera alle pere e alle mele in Sud Africa ed anche in Cina che frappone ostacoli per motivi fitosanitari è chiede assicurazioni sulla assenza di patogeni della frutta (insetti o malattie) non presenti sul proprio territorio con estenuanti negoziati e dossier che durano anni e che affrontano un prodotto alla volta. L’aspetto paradossale di questa vicenda è che mentre i prodotti italiani sono bloccati, non solo la Cina può esportare nella Penisola pere e mele, ma in Italia si è anche verificata una vera invasione di pericolosi insetti alieni dannosi alle coltivazioni di provenienza, più o meno diretta, dalla Cina come la cimice asiatica (Halyomorpha halys) che, distruggendo i raccolti nei frutteti e negli orti con danni stimati quest’anno in 250 milioni di euro, per la mancanza di nemici naturali.
Mentre il presidente degli Stati Uniti Donald Trump minaccia dazi sul 50% delle esportazioni agroalimentari italiane in Usa, le frontiere americane – denuncia la Coldiretti – sono da tempo chiuse per la vendita di sementi di grano e carciofo fresco. E sempre nel nuovo continente in Brasile servono ancora riscontri per l’autorizzazione all’esportazione di susine provenienti dall’Italia nonostante l’Unione Europea abbia appena siglato l’accordo di libero scambio con tutta l’area Mercosur di cui fanno parte Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay.
La maggior parte delle limitazioni riguarda la produzione ortofrutticola nazionale che nonostante un valore delle esportazioni di 4,9 miliardi di euro risente pesantemente di questi limiti come dimostra il fatto che nel 2018 si è verificato un crollo nell’ortofrutta fresca esportata dell’11% in quantità e del 7% in valore, rispetto all’anno precedente, secondo un analisi della Coldiretti. Ma difficoltà – continua la Coldiretti – ci sono anche per altri prodotti come la carne bovine nazionale che è bloccata dalla Cina o per la gran parte dei prodotti della salumeria, anche cotti, che non possono essere esportati in Australia per pretesti burocratici ed amministrativi
“A livello nazionale serve un task-force che permetta di rimuovere con maggiore velocità le barriere non tariffarie che troppo spesso bloccano le nostre esportazioni” ha affermato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare la necessità per il nuovo governo guidato dal premier Giuseppe Conte di “investire anche sulle Ambasciate, introducendo nella valutazione principi legati anche ai risultati commerciali. Un cambiamento che deve riguardare – conclude Prandini – anche la logistica con trasporti efficienti sulla linea ferroviaria e snodi aeroportuali per le merci che ci permettano di portare i nostri prodotti rapidamente da nord a sud del Paese e poi in ogni angolo d’Europa e del mondo.
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