Il caro energia con un aumento medio in un anno del +67% del prezzo medio del gasolio affonda la flotta dei pescherecci italiani costretti a navigare in perdita o a tagliare le uscite favorendo le importazioni di pesce straniero. E’ l’allarme di Impresapesca Coldiretti in riferimento al record dei prezzi dei carburanti con il petrolio ai massimi che è arrivato a sfiorare i 90 dollari al barile.
L’effetto dell’incremento del prezzo medio del gasolio – spiega Coldiretti – si sta abbattendo come una tempesta sull’attività dei pescherecci già duramente colpiti dalla riduzione delle giornate di pesca. Fino ad oltre la metà dei costi che le aziende ittiche devono sostenere è rappresentata proprio dal carburante. Con gli attuali ricavi la maggior parte delle imprese di pesca – spiega Impresapesca Coldiretti – non riesce a coprire nemmeno i costi energetici oltre alle altre voci che gli armatori devono sostenere per la normale attività. Di questo passo uscire in mare non sarà economicamente sostenibile.
Senza adeguate ed urgenti misure per calmierare il costo del carburante le imbarcazioni saranno costrette a pescare in perdita se non addirittura a restare in banchina con gravi ripercussioni sulla filiera e sull’occupazione per un settore che – sottolinea la Coldiretti – conta complessivamente 12mila imprese e 28mila lavoratori, con un vasto indotto collegato. Una situazione alla quale si aggiunge la riduzione dal 1° gennaio 2022 dell’attività di pesca per un corposo segmento produttivo della flotta nazionale a poco più di 120 giorni o 130 giorni in base alle dimensioni delle imbarcazioni, pari ad un terzo delle giornate annue. Le disposizioni dell’Ue e del Consiglio Generale della Pesca nel Mediterraneo (Cgpm) – spiega Coldiretti – mettono a rischio quasi il 50% del valore dell’ittico Made in Italy in zone strategiche come l’Adriatico, il Tirreno ed il Canale di Sicilia.
Per questo – afferma Coldiretti – serve un impegno forte del Governo e del Ministero delle Politiche agricole per spingere l’Ue a fare marcia indietro sui drastici tagli alle attività e rimettere al centro delle scelte strategiche dell’Italia il settore della pesca. Un intervento ancora più necessario se si considera che l’introduzione nella pesca della CISOA (Cassa Integrazione Salariale Operai Agricoli) senza che vengano considerati i vari fermi obbligatori e aggiuntivi e senza un adeguato supporto finanziario, rappresenta – spiega Coldiretti – un ulteriore costo per le imprese senza nessun beneficio per i lavoratori il cui salario si ricava una buona parte dall’utile di impresa.
Lo scenario economico in cui sta navigando la flotta nazionale mette quindi a rischio il prodotto ittico 100% Made in Italy favorendo invece quello straniero di importazione in una situazione in cui – conclude Coldiretti – gli italiani mangiano circa 28 chili di pesce all’anno, sopra la media europea anche se decisamente meno di altri Paesi con un’estensione di costa simile, come ad esempio il Portogallo, dove se ne consumano quasi 60 chili, praticamente il doppio.
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